Come ogni anno, la chiamata del WTD arriva forte e chiara. Quest’anno, il focus si allarga. Come, purtroppo, qualcos’altro.
Il World Toilet Day è la giornata che le Nazioni Unite dedicano al diritto delle persone di avere a disposizione servizi igienici adeguati, puliti e sicuri. Se ci seguite da un po’, è una giornata che dovreste già conoscere: in ogni caso, vi rimandiamo a quest’articolo per le presentazioni del caso.
E adesso, cominciamo.
Ogni cosa è interconnessa
Negli ultimi anni, ogni settore è stato trasformato dal concetto per cui tutto è “rete”.
Dal corpo umano, che non è più “soltanto sé stesso”, ma contiene al suo interno un’infinità di altri esseri viventi – il microbiota – al punto da far vacillare la sicurezza dell’”io sono io”, alle foreste, che si è scoperto essere collegate da reti sotterranee di funghi. Dal funzionamento del cervello all’economia, dall’intelligenza artificiale alle relazioni umane.
Il World Toilet Day ragiona quest’anno su un altro tipo di connessione e di rete: quella tra la disponibilità di servizi adeguati, le abitudini delle persone e le acque.
“Farla fuori” nel 2022
Nonostante diversi Paesi abbiano avviato campagne di sensibilizzazione anche imponenti, la realtà è un’altra: sono ancora moltissime le persone che non hanno accesso a servizi igienici puliti e funzionali. In più, sono ancora in molti a praticare la defecazione all’aperto. In India - il Paese preso ormai a pietra miliare della lotta a questo problema - si è arrivati alla mastodontica azione statale che ha portato alla costruzione di 110 milioni di bagni: ne è derivato anche un pregevole film comico.
Che si tratti di open defecation o di bagni non muniti di adeguati sistemi di scarico e trattamento dei reflui, il risultato è sempre lo stesso: le deiezioni umane raggiungono le acque di falda.
La connessione tra igiene e acque
Le Nazioni Unite ammettono: siamo fuori strada rispetto all’obiettivo 6.2 dello Sviluppo Sostenibile, che mira chiaramente alla disponibilità di servizi igienici adeguati e sicuri per tutti entro il 2030.
Quando si parla di “bagni sicuri”, si parla anche della capacità di gestire gli scarichi. Le deiezioni umane sono fortemente inquinanti, e una volta che raggiungono le acque di falda, la contaminazione può viaggiare davvero molto lontano, diffondendosi a macchia d’olio.
Quando l’approvvigionamento di acqua è legato a quella di falda non trattata, le conseguenze sono devastanti. La contaminazione porta con sé i cosiddetti water-borne diseases, come diarrea e malattie dell’apparato respiratorio, che mietono numerose vittime, specie tra i bambini. A chi ha letto qualcosa di storia della scienza, non sarà sfuggito come il controllo della contaminazione delle acque abbia permesso, nell’Ottocento, di migliorare sensibilmente la situazione igienica delle grandi e sovraffollate città europee.
Ma la connessione non finisce qui. L’acqua di falda viene usata per l’agricoltura e l’allevamento – quindi finisce nel cibo – e conclude il suo ciclo a contatto con le acque superficiali: laghi e fiumi la cui carica batterica si innalza pericolosamente.
Che fare, quindi?
La questione non è solo materiale (costruzione di bagni, di fognature e di depuratori), ma è anche culturale. Parte del problema è spiegare quanto un atto individuale come l’evacuazione possa avere ripercussioni sugli altri. Spesso - leggiamo in un report sulla Nigeria - in molte comunità rurali le case vengono costruite senza nemmeno prevedere uno spazio per la toilette o senza prevedere la possibilità di asportare i reflui in sicurezza.
E non è nemmeno un problema legato alle aree periferiche, in quanto la situazione nelle metropoli del sud del mondo è parimenti grave, soltanto amplificata dalla densità abitativa.
Il panorama è dichiaratamente disperato. Basta lavorare più alacremente? Diciamo di sì: sempre l’ONU dice che per i prossimi anni si dovrà quattro volte più velocemente per avvicinarsi agli obiettivi.
Vale la pena di farlo? Al 100%. Ne va della salute, della dignità, e dell’acqua di tutti. Buon World Toilet Day.