Il 28 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Sicurezza sul Lavoro, e discuterne serve sempre… anche se ad un occhio attento potrebbe fare strano.
Potrebbe fare strano perché l’uomo e le donne, da che mondo è mondo, lavorano. E verrebbe da dire che sulla sicurezza ormai si è detto e fatto tutto il possibile.
Non è così, ovviamente: solo nel 2023 le morti bianche - quelle sul lavoro - sono state 1467, giustificando l’espressione strage silenziosa. E il tema peraltro non si esaurisce con quel numero: le morti sul lavoro non si limitano a quelle accidentali, in quanto il tema è più ampio - si dovrebbe parlare di sicurezza e salute sul lavoro - e al computo contribuiscono, o dovrebbero farlo, anche le malattie professionali, lo sviluppo di cronicità, le conseguenze psicologiche del lavoro.
Questo non è un prontuario, non è un decalogo, non è una ramanzina e non è un pippone. Sono cinque spunti con i quali tenere aperto il dibattito.
Non è solo il lavoro ad essere antico
In pochi sanno che la medicina del lavoro è stata fondata da un medico italiano, Bernardino Ramazzini, già nel 1700; prima delle Leggi sulle Fabbriche inglesi (1802), prima dell’indignazione pubblica per le condizioni dei minatori (sempre nel Regno Unito, 1842) e prima dell’invenzione della previdenza sociale (Germania, 1884).
Siamo sempre stati avanti, noi italiani: per questo, quelle 1467 vittime del 2023 stridono ancora di più.
Dinamica della sicurezza sul lavoro
La sicurezza sul lavoro è così: non ci si fa caso finché non succede qualcosa. In fondo, prima o poi sulla scala pericolante ci siamo saliti tutti. Il fatto è che il mondo fisico è pieno di pericoli: per questo, sempre nel 2023, sono state fatte all’INAIL poco meno di 600.000 denunce di infortunio sul lavoro. La buona notizia: rappresentano un calo del 16,1%. La brutta: quella percentuale tiene conto della diminuzione dei contagi Covid; il numero degli infortuni cosiddetti “tradizionali” è pressoché invariato.
Aumentano quasi del 20%, invece, le denunce di malattia professionale, confermando che le ossa, le articolazioni, le orecchie, gli occhi e i nervi dei lavoratori sono come non mai sottoposti a stress.
Anche questa è sicurezza sul lavoro.
Facciamocelo dire da uno scrittore
Nel suo Works, Vitaliano Trevisan racconta di come, lavorando come lattoniere (ed essendo molto felice, nel farlo), si sia trovato ad un certo punto a sprofondare in un tetto di lamiera, rischiando la vita. È un episodio minuscolo, che passa subito: eppure fa da spartiacque e, dal momento stesso in cui l’autore ha sfilato la gamba incastrata nella lamiera fortunatamente senza danni, i toni cambiano.
Conviene ripeterlo.La sicurezza sul lavoro è così: non ci si fa caso finché non succede qualcosa.
Non leggete? Guardate!
Un po’ sottodimensionata, ma una filmografia sulla sicurezza sul lavoro esiste. Da Mi piace lavorare (2004) a Morire di lavoro (2008) per finire con Il responsabile delle risorse umane (2010), qualche autore ha provato a snocciolare il tema.
Se poi nel calderone della sceneggiatura finiscono i temi del lavoro di chi non ha diritti - vedi il fenomeno del caporalato - della disperazione economica legata alla nuova cultura del lavoro, della pressione psicologica, dell’età, del genere, ci si rende conto di come “sicurezza sul lavoro” sia una coperta che dovrebbe proteggere ogni cosa… ma che risulta troppo corta per farlo.
A questo proposito, molti dei film di Ken Loach indagano le storture del lavoro esplorando il modo in cui lo stress psicologico - per lo stipendio che non basta, per le condizioni che peggiorano, per la stanchezza del fisico - si intreccia agli incidenti sul lavoro. Uno su tutti, Sorry we missed you, l’ultimo lavoro del regista inglese.
Tanta parte la fa il dialogo
E in particolar modo, quella parte del dialogo che ha a che fare con il chiedere.
Perché se il ruolo delle aziende è quello di investire in formazione e consapevolezza, in dispositivi personali e in controlli perché questi vengano usati (Sebach, ad esempio, si è dotata della certificazione ISO 45001, che specifica i requisiti tramite i quali le aziende possono predisporre luoghi di lavoro sicuri e salubri), quello dei lavoratori invece è quello di chiedere, sempre e comunque, che ogni azione che possa aumentare la sicurezza sul lavoro venga intrapresa e fatta rispettare.