In una fredda sera di autunno, un bagno mobile riflette sulla poesia delle stagioni, sul vino, e Battipaglia.
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Seduto alla finestra guardo fuori. Le note di Mambo Salentino sembrano lentamente svanire nell’aria. Fortunatamente. Al suo posto, una più sobria Le Foglie Morte lamentata da Yves Montand echeggia nell’aria che sa di fumo di camino e mosto. No, non sono depresso, è che ogni volta che arriva l’autunno a me esce questa vena poetico-esistenzialista che mi fa vivere per qualche settimana come in “San Martino” di Carducci. Quella degli irti colli che anche Fiorello c’ha fatto un singolo nel 1993. Bei tempi quelli: lui aveva ancora il codino, io non ero che un Duo Bimbi. L’autunno è la stagione più strana dell’anno. Da un lato, è perfetta per gli intellettuali come me: finalmente possiamo ricominciare a indossare i nostri tanto amati dolcevita neri dopo mesi di t-shirts estive. Possiamo abbandonarci alla lettura vicino al camino, alle conversazioni alte, al sobrio raccoglimento che naturalmente segue le urla sciamannate dell’estate. Allo stesso tempo, sembra mettere in moto nella gente un ultimo scatto di vitalità prima del letargo invernale. È tutto un muoversi, un andare per parchi, per borghi. Senza stare fermi un attimo per paura di rimanere congelati sul posto. In effetti l’autunno è davvero una stagione bellissima. I colori, i profumi. Uva, funghi, tartufo. Alcune delle cose migliori dell’anno si mangiano in autunno, e infatti è tutto un muoversi per sagre e cinghialate. Come un vero esistenzialista, osservo da lontano la folla con tenerezza e commiserazione. Li aspetto al varco dopo ore di gozzoviglie tra selvaggine e castagne. E fosse solo il cibo. L’uomo medio, d’autunno, diventa magicamente un esperto bevitore: e la vendemmia, e il mosto selvatico, e il ribollir dei tini. Tutti sommeliers in ottobre. E questo è il meno. Magari ci fermassimo al vino! In fondo in Italia ci sono tipo 355 vitigni. Invece no, dobbiamo importare le altrui usanze e trasformarci da un popolo di contemplatori avvinazzati in una succursale dell’Oktober Fest. Non che io sia mai stato mandato fino a Monaco, ma nella mia vita ho sentito storie funeste di feste della birra finite malissimo per tutti i bagni mobili coinvolti. Gente che dopo la prima birra non riesce più a trattenersi e passa la giornata in un drammatico andirivieni da scardinare le porte. Donne in coda e bimbi piangenti. Se fosse per me, passerei ottobre a imparare a memoria “Alla Ricerca del Tempo Perduto” ascoltando Brahms, e invece mi muovo mesto di sagra in sagra cercando di non cedere agli ultimi fuochi di allegria per concentrarmi sulle più serie contemplazioni poetiche di questa stagione così profonda. Così penso, mi raccolgo, sospiro. Finché l’immagine di Concetta vestita da cameriera bavarese alla festa della birra di Battipaglia non mi torna in mente. E il naufragar, m’è dolce in questo mare.