Da quando Alexander Parks, nel 1861, ha brevettato il primo materiale semisintetico, la plastica di strada ne ha fatta. Così tanta che la puoi trovare ai quattro angoli del pianeta.
Il nuovo report WWF (2023,lo potete leggere qui) racconta il rapporto che corre tra inquinamento, microplastiche e oceani, e la prospettiva non è delle più piacevoli.
Facciamo un salto alla pagina delle conclusioni: entro il 2050, l’inquinamento da plastica nelle acque sarà quadruplicato; nonostante si sia già iniziato a combattere il fenomeno delle microplastiche, queste continueranno a proliferare nonostante i nostri sforzi; allo stesso modo, parte del lavoro fatto per preservare la biodiversità verrà vanificato proprio dall’inquinamento dei mari.
Che fatica. Tiriamo il fiato con un po’ di scienza?
Dannate microplastiche
Se non siete familiari con le microplastiche, questa è la loro definizione: minuscoli pezzi di plastica (la dimensione va dai 5 mm ai pochi micron) che vengono rilasciate direttamente nell’ambiente (ad esempio, quelle che derivano dal lavaggio dei capi sintetici) o derivanti dalla disgregazione di oggetti più grandi.
Una volta in circolo, le microplastiche finiscono ovunque, danneggiano gli esseri viventi, impattano su interi ecosistemi. E dal punto di vista della nostra specie? Ne siamo tutto tranne che immuni: attraverso la catena alimentare, le microplastiche finiscono nel nostro corpo (studi scientifici ne hanno trovate nel sangue, nelle urine, nel latte materno, nella placenta e nei polmoni).
Della plastica, si sa, la caratteristica chiave è la durevolezza: anche perché è stato il valore che ha guidato l’ormai secolare campagna di glorificazione dei materiali sintetici. Poi, succede che la medaglia cambia improvvisamente faccia, e la caratteristica vincente ci si ritorce contro – a noi, agli ecosistemi, al Pianeta.
Basta fare uno più uno, e le conseguenze di questi corpi estranei sulla salute di uomini, animali e piante si rivelano da sé.
Come il prezzemolo sui piatti anni Ottanta
L’anno scorso un articolo di Wired titolava così: Ecco i 10 luoghi più strani dove sono state trovate le microplastiche. Bel titolo clickbait, ma purtroppo è così.
Se il documento del WWF si concentra su mari ed oceani, il resto del Pianeta non se la passa molto meglio. Si è scoperto che le microplastiche contaminano i ghiacciai alpini, le vette degli ottomila, i deserti più inaccessibili, i fili delle ragnatele, la peluria sul corpo delle api.
Microplastiche, che fare? Tante cose, ma questo è quello che fa Sebach…
Plastica sì, plastica no, plastica non so/preferisce non rispondere. Come sempre, quando si parla di ambiente, le posizioni sono queste.
Invece, vi diciamo quello che facciamo noi. In quanto azienda, Sebach sa che deve essere sensibile e attenta a questa tematica - è parte del triangolo della sostenibilità - e si impegna a sostenere progetti di ricerca e sviluppo incentrati sull’utilizzo di materiali alternativi e quanto più possibile riciclati e riciclabili.
… e questo è quello che potete fare voi
Seguire questi suggerimenti: niente massimi sistemi, ma azioni quotidiane che possono contribuire alla riduzione di un carico plastico che pesa davvero sul Pianeta.
1 - Non disperdere plastica nell’ambiente
Eh dai: questa è scontata!
2 - Occhio a come trattate l’abbigliamento
In particolare i capi sintetici, responsabili del rilascio di una percentuale enorme di microplastiche. Soluzioni perfette non ce ne sono, ma lavare i capi tecnici a mano o utilizzare le apposite retine per la lavatrice è un buon inizio.
3 - Quando possibile, rinunciate ai prodotti già “microplasticati”
Come gli scrub con microgranuli, i trucchi glitterati, le pastiglie per la lavastoviglie…
4 - Utilizzare prodotti alternativi
Si inizia a vederne molti in giro, e sempre di più se ne vedranno. Dai fogli di cera d’api per sostituire la pellicola alimentare, ai prototipi di bottiglie di carta studiate dalla Absolut: le soluzioni alternative sono ingegnose e stupefacenti. Di strada ne va fatta ancora molta, ma è bello vedere che c’è chi la percorre.
5 - Usate meno… in genere
Il che non significa privarsi delle cose, bensì allungare la vita dei prodotti, riutilizzandoli, passandoli di mano, riparandoli quando possibile.