Durante un maggio piovoso un Sebach incontra una nuova generazione, scopre che non conoscono il Corvo e Drive In, e che non tutti i millenials sono così male.
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Oggi sono malinconico. Piove, piove.
Tutto maggio che butta giù come se non ci fosse un domani. Che poi se andiamo avanti così, un domani mi sa che mica lo vediamo. E meno male che il riscaldamento globale non esiste. Ma continuiamo pure a sprecare l’acqua e a creare pattume, a fregarcene delle nuove generazioni. Non che eccellano eh, ma nemmeno stroncarli prima del tempo!
Tipo poco fa, giù al deposito (col tempo che fa, sto mese almeno mi sono riposato un po’). Stavo di fianco a un gruppo di questi nuovi bagni che vanno in giro in monoblocco e pensano di sapere tutto e gli faccio: “Visto che tempo? Altro che Brandon Lee!”. Questi, che parlano tutti insieme come se fossero le gemelline di Shining, si girano e mi fanno:
“Brandon Chi?” e io lì a spiegargli tutta la storia del Corvo, del “Non può piovere per sempre”. Niente. Mai sentito.
Io non mi capacito. Ma come non hanno mai sentito parlare del Corvo? Non siete mai stati adolescenti tristi? Fatemi capire, ma se non avete mai visto il Corvo, cos’altro vi siete persi? Bim-bum-bam, il cane Uan, l’orso For? Drive In? Non posso credere di vivere in un mondo in cui la gente non sa chi sia Vito Catozzo.
Che ragazzi curiosi però. Mi han fatto tante domande, tipo: “Zio, ma tu da quanto tempo sei in giro?” Han voluto sapere tante cose sul mio passato. Allora gli ho raccontato di quella volta che a un concerto mi han piazzato nel backstage e il cantante mi ha scambiato per il camerino. Oppure di quella volta che un povero disgraziato che si doveva sposare è stato intrappolato dai suoi amici all’addio al celibato e ci siamo ritrovati tutti e due sulla tangenziale la mattina dopo.
Ah! Che bei tempi. I giorni si susseguivano felici come i fogli di un rotolo di carta igienica nuovo: leggeri e puliti, senza le complicazioni del giorno d’oggi. Se c’è una cosa bella di essere nati negli anni ’80 è proprio quella, la spensieratezza, la semplicità. Non come oggi che per essere figo devi avere l’aria condizionata e la filodiffusione.
Mentre raccontavo queste cose, i giovanotti monobolocco mi guardavano incantati, come se stessi parlando di un tempo fantastico, una realtà parallela mai esistita. Uno mi guarda e mi fa: “ Senti ma come ti trovi oggi?” E io mi sono un po’ commosso alla semplicità della domanda. In realtà non mi trovo male, mi piacciono le innovazioni. Mi farebbe piacere che le persone avessero più considerazione di noi, ma allo stesso tempo riescono sempre a sorprendermi.
Così è stato che in un pomeriggio piovoso di maggio ho incontrato una nuova generazione di bagni mobili che ha saputo intenerirmi.
Allora ho cercato di conoscerli meglio, gli ho chiesto come si chiamavano. “Stay”, mi fanno in coro.
E figuriamoci se si chiamavano Antonio, o Andrea. No. Per forza hanno il nome straniero. Kevin. Brandon. Dylan, pace all’anima. Stay.
E io che mi stavo quasi affezionando.