Sostenibilità - 08 set 2023

La plastica nel 2023: come siamo messi?

Bene ma non benissimo, se guardiamo i dati. Ma nella marea di packaging usati che rischia di sommergerci, si aprono prospettive decisamente incoraggianti.

Da quando la plastica è stata per la prima volta sintetizzata, l’industria che la produce non si è fermata un attimo. Il miracoloso materiale che per decenni ha rappresentato l'icona del progresso – suo lo zampino nel boom tecnologico di imballaggi, trasporti, elettronica e costruzioni - è diventato prima onnipresente nella nostra vita (nel 1950 se ne producevano un milione e mezzo di tonnellate, nel 2018 ne sono usciti dagli stabilimenti 359 milioni di tonnellate) e poi nel nostro ambiente: sotto forma di macro inquinamento e, come si è scoperto da non molto, insidiose microplastiche.

Oltre all'inquinamento, la plastica genera anche dibattito. Il riciclo, ad esempio, è solo una delle tessere del puzzle, mentre è sempre più forte la linea di pensiero che va oltre la richiesta di ripensare i materiali, spingendosi a considerare come sia da mettere in discussione l'assetto produttivo, e quindi quelli economico e sociale, dell’intera umanità.

Un guardaroba più consapevole

Una grande percentuale delle microplastiche rilasciate nell’ambiente sono imputabili all’abbigliamento. A complicare le cose sono i tessuti che intrecciano nella loro trama cotone e poliestere, ma una nuova tecnologia sembra essere in grado di separarli, permettendo il recupero del primo e il riciclaggio del secondo.

Nel contempo, sempre più brand sono attivi nella ricerca di tecnologie più sostenibili, e sta a noi individuarli e preferirli ai colossi della fast fashion. Qualche suggerimento: i nostri (quasi) conterranei di Rifò, che provengono dalla città simbolo del tessile italiano, Prato,e realizzano capi da tessuti attentamente differenziati e riciclati; MoEa, che produce scarpe vegan a partire dagli scarti della frutta; infine Girlfriend Collective, che produce sportswear inclusivo e prodotto con materiali ricavati dalle bottiglie in plastica e dalle reti da pesca riciclate. Buon shopping!

I funghi? Non solo sul piatto

Negli ultimi anni, la scienza ha preso d’assalto l’elusivo e affascinante mondo dei funghi. Una linea di ricerca sta sondando le possibilità di utilizzare certi funghi come agenti per la rottura delle molecole plastiche. Al momento, almeno due specie parrebbero in grado di “smantellare” il polipropilene, una delle plastiche più ostiche per l’ambiente.

A funzionare è la combinazione di funghi, raggi UV e calore, che in 140 giorni demolirebbe completamente il polipropilene.

Un percorso parallelo lo sta tracciando il Fomes fomentarius, un grosso fungo che potrebbe diventare a tutti gli effetti un sostituto della plastica.

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E le piante non sono da meno

BioCap è un filtro naturale in corso di sviluppo che, sfruttando i residui del legno (come la segatura) e i polifenoli, cattura dal 95% al 99% delle microplastiche contenute nell'acqua fattagli passare attraverso. Una molecola non è per sempre

Ancora sul polipropilene.

È di inizio anno la notizia secondo la quale alcuni scienziati tedeschi sono vicini all’elaborazione di un poliestere che ha le stesse caratteristiche dell'HDPE, ma può essere compostato.

La pesca “miracolosa”

Ocean Cleanup, il sistema concepito dal geniale studente olandese Boyan Slat, è in opera ormai da un paio d'anni e promette di raccogliere le plastiche e i rifiuti che, tra le altre cose, formano la Great Pacific Garbage Patch, un'isola galleggiante di dimensioni immani. La previsione di Boyan: tutta la plastica galleggiante in mare sarà recuperata entro il 2040.

In realtà, il discorso è più complesso di così, non è immune dalle polemiche e si fonda non poco sulla risonanza mediatica di Boyan. Ad oggi, Ocean Cleanup ha raccolto 220 tonnellate di spazzatura marina: pochissimo, rispetto a quella che effettivamente inquina i nostri mari – e senza tenere conto di quella che nel tempo ha raggiunto i fondali marini.

Nel frattempo, altre e più silenziose entità lavorano allo stesso obiettivo. Come la Ocean Voyages Institute, che ha eseguito già 8 viaggi di raccolta, o l'italiana Ogyre, startup che si appoggia ai pescatori per raggiungere lo stesso fine.

Più efficace, in realtà, è l’intervento di chiatte specializzate lungo il corso e alla foce dei fiumi. Sono utili e anche simpatiche, almeno a guardare a Mr. Thrash Wheel, attiva a Baltimora.

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Un futuro roseo?

Difficile a dirsi. La plastica fa parte dell’orizzonte umano, è innegabile, e “liberarsene” è qualcosa che sta tra obbligo e utopia. Eppure, è rassicurante vedere come il tema della plastica nell’ambiente stia stimolando l’ingegno di scienziati e imprenditori, e moltiplicando le azioni sul territorio: vedi le tantissime giornate dedicate alla pulizia di aree urbane, spiagge, fiumi, sentieri di montagna.

Anche le aziende possono fare molto: a riguardo, vi consigliamo la lettura del Secondo report di sostenibilità Sebach.