Al netto di non averci i gomiti sopra - ah, la sudata prima fila! - in genere neanche la consideriamo. Ma dentro quella scansione regolare di tubi di metallo, batte un cuore caldo.
Era soltanto ieri che la nostra transenna si annoiava sul piazzale di carico/scarico di una anonima PMI del Nord Est italiano. Settore? Logistica. Per carità: non si poteva davvero parlare di noia. Complice una felice congiuntura - la lungimiranza del principale (meglio chiamarlo founder, forse?), un nuovo contratto appena firmato - il piazzale fremeva di attività, con camion che entravano, manovravano, venivano caricati e uscivano dal largo cancello aziendale quasi senza soluzione di continuità. Si sentiva utile, niente da dire: grazie a lei gli spazi erano compartimentati, evidenti. Se la confusione non regnava sovrana, era anche per merito suo. Era bello, essere una Barrier.
Eppure, qualcosa mancava nel suo orizzonte quotidiano. Sentiva i suoi sensi ottenebrati dalla polvere che si alzava dall’asfalto, dall’odore del diesel, dagli sguardi disattenti degli autisti che ne approfittavano per fare una scappata verso il suo collega, quel TopSan che lavorava vicino alla guardiola. In quei giorni, le mancava una spruzzata di colore, le mancavano dei suoni festosi.
A fine giornata, qualcosa di eccezionale era successo: su uno di quei camion, ci era finita anche lei. Anzi, loro: una ventina di colleghe se ne stavano tutte vicine, salde, in attesa di essere movimentate verso una nuova destinazione.
Le altre parlavano di un ritorno al magazzino Sebach. E, in fondo, la cosa non le dispiaceva. Avrebbe fatto una doccia, si sarebbe rilassata per qualche giorno. Magari avrebbe fatto due chiacchiere con le Border, le transenne arancioni che, per un motivo o per l’altro, non vedeva quasi mai.
Non sembra, ma una transenna non sta mai ferma
Ma la pausa è durata ben poco. La mattina successiva, di buon’ora, si è ritrovata di nuovo sul pianale di un camion. E, da qui, ogni cosa si è succeduta davvero velocemente.
Sotto i suoi piedini, erba; alle sue spalle, un lungo campo da calcio. Davanti a lei: un alto palco, dal quale scendevano come grappoli i riflettori, e sul quale i fonici stavano srotolando metri e metri di cavo.
Un concerto! Quanto tempo!
Non vedeva l’ora, e si era subito emozionata. Chi avrebbe deliziato le sue orecchie, quella sera? Sperava in un concerto rock, con le chitarre che volavano e i fuochi d’artificio, gli inni generazionali e gli accendini accesi durante la ballad di rito. Altrettanto, sperava non fossero quei ragazzini impertinenti della trap, che tra autotune e slang bizzarri poco si capivano (per non parlare degli urletti acuti delle ragazzine che le avrebbero fatto fischiare i tubi). Nel caso si fosse rivelato un concerto del secondo tipo, solo una cosa sperava: che, come faceva quel suo collega della sicurezza ormai diventato famoso, nessuno la sgammasse a far facce schifate.
Poi ci ha pensato meglio. “Darò le spalle a tutti, non mi vedrà nessuno!” Già, era proprio quello, il premio per essere una brava transenna: potersi godere il concerto in prima fila, investita dai fasci di luce colorata; poter fare tutte le facce che voleva; ogni tanto pogare - i più scalmanati si sarebbero buttati contro di lei, ma niente avrebbe scalfito la sua solidità; soprattutto, avere l’onore di sostenere i gomiti dei fan più sfegatati!
Attorno alle otto, un segnale: il gruppo spalla stava per iniziare. Avrebbe voluto alzarsi sui suoi piedini, ma no - doveva essere perfettamente stabile. E lo sarebbe stata, accidenti!