In occasione dei famigerati Giorni della Merla, ci riscaldiamo pensando alle sventure altrui: quelle di chi nonostante i rigori invernali continua ad espandere i confini del mondo conosciuto.
I Giorni della Merla sono così. Ci sfreghiamo le mani con una frequenza maggiore del necessario, come se dovessimo tenerle al caldo più del solito. Lo small talk si ammanta di meteorologia spiccia e “ai miei tempi”. Quando usciamo la mattina preferiamo lasciare il motore acceso quel minuto in più prima di partire.
Tradizione vuole che siano i giorni più freddi dell’anno: vero o falso non lo sappiamo (o meglio, dipende). Ma dato che mal comune mezzo gaudio, proviamo a riscaldarci scoprendo come se la cava chi con il freddo deve davvero farci i conti: gli esploratori
Dal punto di vista del bagno, certo: non saremmo Sebach altrimenti!
Chiedilo agli esperti
In quanto ad adattamento ai climi estremi, gli Inuit non temono rivali.
Giusto due trucchi da parte degli esperti, quindi, prima di iniziare la nostra inchiesta. Il primo: il loro bagno si trova giusto fuori dall’igloo, in quanto ogni cosa ghiaccia immediatamente e non rappresenta più un pericolo, e può essere spostata con l’aiuto di una semplice pala.
Il secondo: la neve e il ghiaccio sono ottimi surrogati della carta igienica.
In Antartide
Più che da romantici esploratori vestiti di pelli di foca, l’Antartide è frequentato oggi da team internazionali di scienziati. Gli insediamenti scientifici più o meno temporanei sparsi lungo le coste antartiche si trovano a fronteggiare quotidianamente il problema dei bagni: non solo perché, come abbiamo già visto, tutto ghiaccia, ma anche perché, al fine di conservare un ambiente unico, ogni cosa che l’uomo porta sul sesto continente deve poi andarsene con esso.
La soluzione? Barili, bidoni, contenitori ermetici: dotati di un sedile di polistirene e di quello che viene chiamato “imbuto”. Perché il polistirene? Stando alle parole di una scienziata, perché “a quelle temperature non vuoi certo sederti su altri materiali”.
Ancora in Antartide (ma questa volta a zonzo)
Il paragrafo precedente raccontava la confortevole vita nelle stazioni scientifiche. Ma durante le spedizioni verso l’interno come si fa?
Fondamentalmente come in certi campeggi: con una toilette portatile, che viene riportata alla base quando la spedizione rientra. Una curiosità: si tratta dello stesso principio della Tanica Estraibile Sebach.
Tuttavia di notte, per evitare di dover uscire nel gelo antartico, gli scienziati usano una bottiglia, che viene poi svuotata nel contenitore principale.
Verso gli ottomila
Negli ultimi anni l’Everest è letteralmente preso d’assalto dagli alpinisti (e dalle agenzie che gestiscono i campi base). Non sempre è possibile - o c’è la voglia di faticare per - organizzare le toilette portatili, e capita che la soluzione sia rappresentata da un buco nella neve, con gli escrementi che finiscono in piccoli crepacci.
Il problema però è dato dai movimenti dei ghiacciai - naturali, ma anche dovuti al cambiamento climatico - che si traducono nell’apparizione di terribili cataste.
Per i nepalesi la montagna è Samargatha, Madre del mondo, e vederla inquinata equivale a un sacrilegio. Non solo: le acque di scioglimento vengono contaminate, e ai campi base aumentano i casi di infezioni gastrointestinali.
Maledetti tutoni integrali!
Chi lo riferisce lo descrive come un simpatico aneddoto, ma dovremmo chiedere a Simone Moro cosa ne pensa. Il fortissimo alpinista racconta che, poco prima di iniziare la salita al gigante andino Aconcagua, si abbassò la tuta per espletare il bisogno grosso… non accorgendosi abbastanza in tempo che, a causa del freddo e del vento, aveva fatto tutto nel cappuccio della stessa.