Cercate gli Steppenwolf su Spotify, sgasate un paio di volte per infastidire i vicini e indossate il casco a stelle e strisce: vi portiamo nel mito.
È l’apoteosi del sogno di libertà senza confini geografici, di una vita nomade e selvaggia, di un rapporto di simbiosi totale con il mezzo meccanico che lo rende possibile. L’unione di viaggio on the road attraverso il Nordamerica e della mitologica Harley Davidson è qualcosa che ha ossessionato, ispirato, attirato un po’ tutti.
C’è chi poi il sogno lo insegue e arriva a viverlo davvero, e chi si accontenta di immaginarlo per interposta persona, dato che libri, film e content creator – gli anni sono questi, che ci volete fare – da sempre ci scodellano visioni e panorami dall’asfalto USA.
Cavalcare una Harley
Se questo articolo fosse uno spot, le immagini sarebbero all’incirca queste: carrellata lenta su serbatoio iconico; macro su chiave infilata nella toppa e portachiavi penzolante, il quale è un proiettile, un teschio, un bulldog ghignante con sigaro, il logo dei Motörhead; macro su mano che ruota l’acceleratore; zoom su sguardo rugginoso e segnato dalle intemperie del centauro, possibilmente con gran barba, baffoni o capelli stretti in una coda.
La Harley-Davidson compie 120 anni, e non c’è altro da dire: il primo elemento del sogno ce l’abbiamo, basta approfondirlo.
I riferimenti imperdibili
Easy rider è un must dal sapore amaro. La pellicola ha anch’essa visto molti tramonti (è del 1969) e tra le altre cose ha lanciato l’associazione tra Harley-Davidson e Born to be wild, la canzone degli Steppenwolf che, secondo alcuni, avrebbe anche inaugurato il genere heavy metal.
Su carta, l’on the road nasce ovviamente con l’omonimo romanzo autobiografico di Jack Kerouac. Lì erano l’automobile e (in parte) l’autostop, ma il senso del viaggio su strada all’inseguimento della libertà è lo stesso, ed è perfettamente riassunto in questo dialogo:
«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati.»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare.»
A partire da qui, i biker prendono a piene mani da specifiche culture per comporre il proprio mood. Ci sono dentro i Canned heat – On the road again è la canzone chiave – e il rock psichedelico, gli AC/DC, il southern rock, i già citati Motörhead.
In cambio, la Harley-Davidson si presta come un sigillo dell’attitudine badass, per cui la vediamo cavalcata dal Terminator di Schwarzenegger, da Travolta in Pulp Fiction, dal mitologico Fonzie di Happy Days. La vediamo anche per decenni sul palco dei Judas Priest – altrettanto iconica band – e sulle copertine di infiniti dischi hard rock e metal.
Andiamo su strada
Il nastro d’asfalto prediletto per il sogno on the road è ovviamente la Route 66, itinerario da 3755 chilometri inaugurato nel 1926 (la versione ripristinata che si percorre oggi si chiama Historic Route 66). Si viaggia da Chicago a Santa Monica, si passa per sette Stati diversi e si attraversano decine di ambienti naturali – alcuni dei quali fanno ormai parte dell’immaginario comune.
A questo punto, data la natura specifica del nostro lavoro, rispondiamo a una domanda che – stando ai forum di viaggio – viene posta con una certa frequenza: ci sono bagni pubblici lungo la Route 66?
La risposta è “sì”, ma con due avvertenze. Primo: i bagni mobili sono messi a disposizione da ristoranti e stazioni di servizio, e per le prime devi in genere consumare qualcosa per poter usare la toilet room. Secondo: a seconda di chi recensisce l’itinerario, la frequenza dei punti di sosta va da non ho mai avuto problemi, ce ne sono tantissimi a non ne trovi molti. Ah, la variabilità della vescica umana!
Chiudiamo con un aneddoto curioso, che scopriamo con colpevole ritardo (altrimenti lo avremmo incluso nelle nostra #cagatepazzesche). Nel 2020, è stato ripreso un bagno mobile in fuga su ali di vento proprio lungo la Route 66.
Lo “zio d’America” delle nostre cabine non si comporta bene come le nipotine italiane!