Tra storia e passione, scopriamo come il rugby sia diventato uno degli sport più amati dagli italiani, anche se a volte ci fa così paura da farci voler correre al bagno
Da ormai 18 anni l’Italia partecipa al Sei Nazioni, il torneo di rugby più prestigioso d’Europa. Non ha mai vinto, ma si è portata a casa tanto legno da poterci rifare la porta del bagno. Scherzi a parte, il Sei Nazioni è una cosa seria. Anzi, serissima.
Nato nel 1883 come Home Championship in Inghilterra, originariamente veniva disputato solo da Galles, Inghilterra, Scozia e Irlanda. Solo più tardi si aggiunse la Francia, seguita dall’Italia nel 2000. Nonostante la nostra nazionale si sia aggiunta per ultima, in questi anni la popolarità del rugby nel nostro paese è cresciuta moltissimo, soprattutto tra i più giovani.
Ma la storia che lega lo stivale al rugby è lunga più di un secolo, ovvero quando fu importato grazie a Stefano Bellandi, che lavorò molto sodo per diffondere questa disciplina fino alla fondazione, nel 1928, della Federazione Italiana Rugby (FIR) e della Nazionale l’anno seguente. Ai giorni nostri le squadre italiane si confrontano in diversi tornei nazionali ed internazionali, tra i quali spicca il Campionato di Eccellenza.
Di corsa verso la porta (o verso il bagno?)
La popolarità di questo sport è dovuta a tanti fattori: dalla forza di spirito dei giocatori al loro gioco di squadra indispensabile per rispettare le regole non proprio facili del rugby.
Tra i suoi fans italiani si contano anche lo scrittore Alessandro Baricco, e l’attore Marco Paolini, che attraverso la loro scrittura e recitazione hanno raccontato alcuni degli aspetti più divertenti e toccanti delle tante contraddizioni che compongono questo sport. A condire il tutto con un po’ di mistero, c’è la leggenda sulla sua nascita: si racconta infatti che il rugby fu inventato nel 1823, quando un giocatore di football (il nostro calcio) si stancò di prendere a calci la palla, se la mise sottobraccio, e prese a correre per il campo piazzandosi nella porta della squadra avversaria con le mani. Sappiamo che il suo nome era William Webb Ellis, e ancora oggi è ricordato come il padre del rugby.
Bagno di Sangue? Tutt’altro.
Certo, in molti hanno avuto modo di criticarne gli aspetti più violenti, ma tradizionalmente il rugby si è distinto da altri sport, come ad esempio il calcio, non solo per la spettacolarità delle sue azioni, ma anche per il fair-play di giocatori e pubblico. “ll rugby”, disse una volta Gianni Brera, “è stato inventato dai gentlemen per reagire alla moda fin troppo plebea e stradaiola della pedata: però per non restare troppo delusi, converrebbe nascere in Nuova Zelanda”.
Anche noi di Sebach all’Olimpico
A noi che in Nuova Zelanda non ci siamo nati il rugby piace lo stesso, nonostante la passione nazionale per le pedate calcistiche. Insieme a tutti gli altri seguaci di questo sport affascinante saremo infatti all’Olimpico di Roma con i nostri bagni mobili nelle date italiane del Sei Nazioni. La nostra nazionale giocherà in casa il 4 febbraio, contro l’Inghilterra e il 17 marzo, giornata di chiusura, contro la Scozia.
L’intero programma del torneo lo trovate qui.