Per la scrittura di questo articolo, non abbiamo scomodato né Duchamps né Piero Manzoni. Né tantomeno Cattelan.
Perché si vince facile, chiamando in causa orinatoi di ceramica, scatolette dal dubbio contenuto e sanitari d’oro massiccio. (Se proprio volete fare un ripasso,potete iniziare da qui). La verità è che, per gli artisti di tutte le epoche, la sala da bagno e i rituali che lì si svolgono sono un toccasana: materiale di ispirazione, possibilità di sperimentare scene differenti e presenza degli specchi, che permettono di aumentare le prospettive sperimentali… o quelle pruriginose.
Iniziamo da qui
Nel 1954, a Pompei, è stata ritrovata la cosiddetta Venere in bikini. Ok, forse a sentire quel termine lo scultore avrebbe fatto una faccia stranita - si chiamavano mamiliari, non bikini - ma che ci volete fare, i nomignoli fanno più presa. In ogni caso, la statua rappresenta una Venere che si sistema un sandalo dopo aver fatto il bagno, sotto l’occhio vigile del solito putto.
l Rinascimento (del bagno)
O più che del bagno, dovremmo dire della toilette intesa come rituale? Nel Rinascimento pullulano scene di ragazze intente nella cura del corpo. Questo momento personale diventa materiale di ispirazione per gli artisti, che possono cimentarsi con prospettive, scene e - come accennavamo - giochi di specchio. Qualche esempio? Poco prima della morte, l’italiano Bellini termina Giovane donna nuda allo specchio. Più casto e meno intimo, Una donna alla toilette, del circolo di Tiziano. Potremmo andare avanti, tra un Rubens (Venere allo specchio) e un Velázquez (la Venere di Rokeby), ma ci accorgiamo di una cosa: i protagonisti di queste scene sono gli sguardi negli specchi e i corpi nudi visti alle spalle, e non le sale da bagno. Prima di approfondire, allora, andiamo su una curiosità: sapete che per i quadri di questo genere - Venere + specchio - i pittori sceglievano di rappresentare il volto nello specchio con lo sguardo fisso sul fruitore del quadro, anche se nella realtà non sarebbe stato possibile? Si chiama Effetto Venere.
Inoltriamoci nella storia della pittura
Dobbiamo dirlo, questa ricerca si sta rivelando più complessa del previsto. La toilette nei quadri europei tra Seicento e Ottocento continua ad essere incentrata sui gesti della preparazione. Scorrendo i decenni, troviamo i fiamminghi che incorniciano la scena nei soliti parametri architettonici; stanze da bagno che si fanno enormi; troviamo donne bibliche, mitologiche o storiche intente a sistemarsi i capelli; specchi, specchi e ancora specchi; infine, il numero di persone presenti nella stanza che oscilla tra uno - chi pratica la toeletta - e decine (putti, angioletti, cani e e gatti esclusi). Fino a questo La toilette di Cleopatra di Vincenzo Marinelli, nel quale tutto sembra si stia facendo, tranne che una toilette. E la maschera proposta dal servo sulla destra, diciamocelo, sembra un trattamento notturno un po’ definitivo.
Ci pensiamo noi
Dato che Sebach c’è #nelmomentodebisogno, facciamo che provvidi e tempestivi entriamo nei musei e cambiamo le carte in tavola?
E i bidet?
No, non ci dimentichiamo di loro, e li usiamo per chiudere. Tra Settecento e Ottocento, il francese Louis-Léopold Boilly dipinge una giovane ragazza nell’atto di utilizzare uno strumento antesignano del bidet nel quadro La toilette intime ou la Rose effeuillé. Questa tela, dipinta all’incirca nel 1790, è un’altra tessera di quel gran dibattito su chi ha inventato, chi usa e chi non usa il bidet. Tenete conto che, ancora dieci anni dopo, in un inventario relativo alla Reggia di Caserta, compare un oggetto non identificato e descritto solamente come “una sedia in legno, a forma di chitarra”.