Cosa vuol dire fare coming out e cosa c’entrano i bagni nella lotta per i diritti LGBT. Qualche risposta a proposito delle “bathroom wars”.
L’11 ottobre 1987, mezzo milione di persone marciarono su Washington in quella che viene ricordata come la “Grande Marcia” in difesa dei diritti della comunità LGBT. Un anno dopo, sulla spinta di questo successo, lo psicologo Robert Eichbert e l’attivista Jean O’Leary crearono il primo International Coming Out Day, di cui proprio oggi ricorre il 29esimo anniversario.
“Fare coming out non distruggerà del tutto il pregiudizio, ma certo è un buon inizio”
A dirlo è stato Jason Collins, primo atleta di una major league americana e dichiarare apertamente la sua omosessualità. Nel 2013.
L’omofobia, come germi e batteri, prolifica al tepore dell’ignoranza. Fare coming out, ovvero dichiarare al mondo la propria omosessualità, è stato tradizionalmente interpretato come un gesto di conquista personale, ma anche di attivismo politico, come direbbe Harvey Milk.
Si, perchè se amici, colleghi, familiari, sono al corrente dell’omosessualità del loro amico, collega, fratello, c’è una buona possibilità che cambi la loro attitudine nei confronti di tutta la comunità LGBT. E insieme alla loro, quella delle persone con cui interagiscono. Per questo oggi si festeggia il coraggio di quelle persone che con il loro coming out si impegnano in prima linea per la difesa dei propri diritti, che ancora oggi non sono propriamente dati per scontati.
Tutto molto bello, ma cosa c’entrano i bagni?
Tra le numerose battaglie che la comunità LGBT ha dovuto affrontare negli anni, la più recente e sentita è forse quella che si occupa degli uomini e delle donne transgender e transessuali e del loro diritto di scegliere quale bagno pubblico usare a seconda del genere in cui si identificano.
Negli Stati Uniti se ne discute ormai da qualche anno in quella che è stata definita la “guerra dei bagni”, tanto che uno degli ultimi provvedimenti dell’amministrazione Obama fu proprio di far circolare in tutte le scuole americane delle linee guida per permettere agli studenti transgender di poter scegliere liberamente in quale bagno andare, scatenando una guerra di ricorsi da parte di 11 stati conservatori.
E così, nel 2017, uno dei primi atti ufficiali dell’amministrazione Trump è stato quello di annullare questa norma, scatenando delle forti polemiche soprattutto perché la qualità della vita dei ragazzi e delle ragazze transgender e transessuali ha subito un forte contraccolpo.
E in Italia?
In Italia non ne parliamo molto, ma di solito quando ne parliamo c’è di mezzo Vladimir Luxuria. Nel 2006 era stata aggredita verbalmente nei bagni delle donne di Montecitorio da un’altra parlamentare, e da allora si è impegnata molto per far uscire questo tema dalla nebbia. Pochi mesi fa, in veste di inviata speciale per le Iene, ha provato ad usare un bagno per uomini in un autogrill, e non è andata proprio benissimo.
Insomma, pare ci vorrà ancora un po’ perché la questione trovi una risoluzione definitiva. Nel frattempo, noi teniamo i bagni mobili aperti a tutti, e aspettiamo.