Dove per tag non intendiamo le firme dei vostri influencer preferiti, bensì quelle dei writer: i graffitari, come li chiamavano i nostri genitori. Ma iniziamo dal lessico.
3D-style, battle, old school, argentone. Il writing – l’arte di realizzare graffiti sui muri urbani – è un fenomeno culturale, motivo per cui si porta dietro un lessico, un’attitudine, un mood. E un messaggio.
Alla base c’è il tag: l’elemento essenziale del graffito, la firma – sia a bomboletta che a pennarello – del singolo writer. A partire da qui, è tutto un tappino – “l’ugello della bomboletta, che può essere a seconda della lunghezza astrofat, fat, soft, skinny, super skinny” – che corre lungo l’intonaco di una hall of fame – “un muro sul quale si può dipingere legalmente” – oppure sulla parete di un vagone ferroviario per realizzare un top to bottom, riassunto in T2B.
Confusi? Benissimo: mettete nello zainetto una merenda, una felpa (rigorosamente con cappuccio) e la macchina fotografica, scovate sul calendario i weekend da destinare alle gite fuori porta, e partite con noi in questo viaggio tutto italiano sulle tracce dei writer più originali.
Prima il maestro
E il maestro è Keith Haring, responsabile di aver portato all’attenzione del grande pubblico l’arte del disegnare sui muri. Solo gli appassionati sanno che il suo unico grande murale italiano si trova a Pisa, sulla parete posteriore del Convento dei Frati Servi di Maria, dietro alla chiesa di Sant’Antonio Abate.
La storia che ha portato alla sua realizzazione è fatta di entusiasmo, accoglienza e, purtroppo, lotta contro il tempo: Haring morirà poco dopo la realizzazione di Tuttomondo, il murale pisano.
All’ombra della madonnina
Dato che Milano è ormai il più denso crocevia di correnti, idee, stimoli e sperimentazioni, non poteva mancare un intero distretto dedicato alla street art. Si chiama NoLo, North of Loreto. Un quartiere complesso, nel quale alle opere spontanee si sono affiancati i cento muri assegnati dal Comune meneghino al progetto Muri Liberi. È disponibile anche una mappa georeferenziata, per un curioso pomeriggio di caccia al tesoro.
La città senza
Se Padova è la città dei senza (conoscete il detto che la riassume?), viceversa qui non mancano le espressioni della street art. I nomi da cercare sono Tony Gallo, autore di murales giganti con figure riconoscibilissime e un po’ malinconiche (alcuni lavori decorano le facciate di edifici ospedalieri); e Kenny Random, fugace personaggio che ammicca a Banksy, e AlessioB.
Ai più curiosi potrebbe però interessare sapere che a Padova esiste una crew di street artist dai primi anni Novanta, e che i padovani i loro murales li hanno da sempre negli occhi.
La protesta colorata
Sempre veneto per il veronese Cibo. Il messaggio questa volta è quello della fratellanza.
Domanda: cosa accomuna davvero gli italiani? L’amore per la buona tavola e il cibo.
Domanda: cosa divide le persone? Quella simbologia fatta di svastiche e nostalgia.
Ecco che Cibo corregge, revisiona, ridipinge: con colori e cose buone.
La scusa
“Disegnare sui muri è una scusa per agire sul sociale”. Questo si dice del murales, oggi. A Napoli, il progetto Inward è il punto di partenza per un lavoro articolato di sensibilizzazione e arte. Uno dei punti caldi è il Parco Merola di Ponticelli, ribattezzato parco dei Murales, e definito da opere giganti.
In ordine sparso
Altri luoghi interessanti, per gli amanti della street art o i semplici curiosi, sono Tor Marancia a Roma (opere di 22 artisti) e Hunting pollution, sempre nella capitale, il murales più grande d’Europa.
Il progetto On the wall ha portato colore su 13 facciate del quartiere certosa a Genova, colpito dal crollo del Ponte Morandi. E sempre 13 facciate sono state dipinte da Millo nel quartiere barriera di Milano a Torino.
Infine, non si può non citare Ravo, anche se lui per primo non si definisce street artist, ma pittore. E come dargli torto, viste le opere sospese tra Caravaggio e modernità? I suoi lavori si trovano in tutta Italia.
E per i più tradizionalisti?
Sappiate che ci sono forme meno impattanti, ma ugualmente interessanti, di graffito. Li chiameremo dipinti, per non urtare la sensibilità artistica di nessuno, e sono intrisi della tradizione culturale del paese che li ospita. Ecco cinque spunti alternativi.
Cibiana in Cadore (Belluno) è chiamata il paese dei murales: ne ospita 50, realizzati da artisti internazionali. Vera fusion invece a Imer (Trento), dove due scultori locali hanno “graffiato” le facciate dei piccoli fienili locali in opere evanescenti e originali.
A Dozza (Bologna), i murales sono geolocalizzati da una app, la Guida al muro dipinto.
Sant’Angelo di Roccalvecce (Roma) è chiamato il paese delle fiabe, perché le sue vie sono state riqualificate da 36 murales che raccontano, appunto, famose fiabe: perfetto per le famiglie con bambini piccoli.
Infine, al sud, c’è da passare per Diamante (Cosenza), oggetto dell’Operazione Murales del pittore Nani Rizzetti, che ha chiamato all’opera più di ottanta artisti stranieri.