Tra pochissimo ricomincia la scuola, e noi ci facciamo un viaggio sul viale dei ricordi per parlare di bagni scolastici: di chi li ha, e di chi li vorrebbe.
La magia del ritorno sui banchi
artelle nuove, quaderni ancora bianchi pieni di speranze in quegli otto in matematica che “chissà, magari quest’anno se mi impegno ce la faccio”. Diari immacolati che ora di giugno peseranno circa 25 kg netti a causa delle collezioni di ritagli, fotografie, biglietti votivi che neanche il Santuario della Beata Vergine di San Lorenzo di Guanzate. No, non è la giornata mondiale del cartolaio (anche se c’è qualcuno che potrebbe giurare di averne visti alcuni esultare di nascosto all’ennesima vendita di un invendibile astuccio di Barbie rimasto in magazzino dall’89). È il primo giorno di scuola.
Non importa se all’asilo, alle elementari in prima liceo (o ginnasio, come continuano a chiamarlo quelli del Classico, che a settembre son tutti dei Foscoli e a giugno dei Che Guevara che Berlinguer levati), l’emozione è sempre la stessa: rivedere i compagni, essere più grandi, sedersi ancora allo stesso banco…non c’è storia, tornare a scuola è roba per romantici. E questo, come si dice, è il lato A.
La realtà’ del ritorno nei bagni
Il lato B della scuola, invece, è fatto di nefandezze più o meno criminali che si consumano rigorosamente nel rifugio peccatorum di tutti gli edifici scolastici italiani: il bagno. È lì, infatti, che la pancia della scuola si esprime con maggiore chiarezza, dove un sottobosco di magheggi, sotterfugi, piani per la conquista dell’universo prendono forma. “Prof., posso andare in bagno” è la frase più amata dagli italiani dopo “Mamma, è pronto?!”. (“Se non uscite vi tiro fuori con l’idropulitrice” è quella dei bidelli. Così’, per dovere di cronaca).
Il bagno delle scuole italiane è un rifugio per quelli che vengono sbattuti fuori, un santuario per quelli che saltano l’ora di religione, un fumoir per i più raffinati che con destrezza sono riusciti a intascarsi una sigaretta dal pacchetto genitoriale. Il bagno scolastico italiano è anche una biblioteca dove i più ingegnosi nascondono appunti, classificatori, bigini dietro lo spazzolino del water, intere versioni di Cicerone su ignari rotoli di carta igienica.
I bagni sono anche il posto dove le ragazze piangono, si disperano, si odiano, si truccano, e si cambiano di nascosto. Dicono che la Pausini abbia scritto “Marco se n’è andato e non ritorna più” prima sul separé della quinta liceo, e poi sul pentagramma. Si perchè le scritte nei bagni delle scuole svelano un universo poetico costruito a colpi di pennarelli, lacrime e citazioni di Jim Morrison. È inutile che fate finta di niente, cari Riders on the Storm. L’abbiamo fatto tutti, e va bene così. Anzi, addirittura noi di Sebach ci abbiamo fatto una mostra, l’anno scorso, sulle scritte nei bagni.
Il bagno logora chi non ce l'ha
Insomma, c’è talmente tanta vita che gira intorno ai bagni delle scuole ( e non stiamo parlando di batteri), che stringe il cuore a leggere che, secondo Unicef-Oms, 600 milioni di bambini non hanno dei bagni funzionanti nelle loro scuole. Tantini, eh. Purtroppo il circolo innescato dalla mancanza di strutture sanitarie adeguate è sempre lo stesso, tragico balletto. Senza un bagno e acqua corrente i bambini, soprattutto i più piccoli, si ammalano, e quindi non possono andare a scuola, e quindi perdono la possibilità di avere quell’ educazione che potrebbe dare loro una chance in più. Roba che vien voglia di lamentarsi meno se certe volte si intasano i water nelle nostre, di scuole. Pensiamoci, prima di tornare sui banchi!