Che il succo d’arancia faccia bene, non c’è dubbio. Ma che il frutto “del sole” per eccellenza abbia altre proprietà - o meglio, che ce le abbiano i suoi scarti - è davvero una scoperta.
L’intuizione è venuta ad Enrica Arena, co-fondatrice e amministratrice delegata della catanese Orange Fiber, che si è chiesta cosa poter fare con gli scarti della produzione del succo d’arancia.
La risposta: tessuti sostenibili, con i quali preservare le risorse naturali e al contempo favorire l’economia circolare. Sono però le cifre a far girare la testa, dato che ogni anno l’industria della spremitura delle arance genera oltre 700mila tonnellate di scarti.
Insieme alla sua socia Adriana Santanocito, e in collaborazione con il Politecnico di Milano, Enrica ha brevettato il processo per la realizzazione di un tessuto innovativo, prima in Italia (nel 2013) e poi a livello internazionale (nel 2014).
La realizzazione dell’idea ha la sua forza in una visione d’insieme nella quale confluiscono nuove possibilità per un settore industriale, dignità dei lavoratori, creazione di un circolo virtuoso di sviluppo economico e sociale, e - argomento sempre più un auge - moda etica. È da ricordare infatti come proprio quello della moda sia uno dei comparti con il maggior impatto sull’ambiente e sulla società.
Negli anni il progetto ha avuto moltissimi riconoscimenti, italiani e internazionali, tra cui il Premio nazionale per l’Innovazione “Premio dei Premi” 2016 (Design italiano); il Technology and Innovation Award 2017 – Green Carpet Fashion Awards Italia; la prima edizione del Global Change Award della H&M Foundation.
In parallelo sono arrivate le collaborazioni con il mondo della moda. Dalla prima, nel 2017, con Salvatore Ferragamo per la realizzazione di una linea moda che è stata inserita anche nella mostra “Fashion from Nature” al V&A Museum di Londra, ai rapporti attuali che Orange Fiber porta avanti con diverse aziende internazionali.
Intervista a Enrica Arena
Che cos’è Orange Fiber e com’è nata l’idea di produrre materiale tessile proprio dalle arance?
Orange Fiber è l'azienda nata a Catania che ha brevettato e produce tessuti sostenibili a partire dagli agrumi: trasformiamo tutto quello che resta dopo la spremuta di agrumi in un materiale per la moda. L’idea è nata dalla consapevolezza che ogni volta che un’arancia viene spremuta, più o meno la metà del suo peso iniziale è un sottoprodotto da gestire e dalla voglia di trovare una soluzione a questa inefficienza, raccontando al contempo una storia diversa di Mediterraneo e di innovazione. Dall’idea iniziale è partito poi tutto il lavoro per trasformarla in un brevetto, in un processo e in un'azienda vera e propria.
Come è cambiata, negli otto anni della vostra attività, la percezione dei grandi marchi del tessile e della moda, ma anche dei consumatori finali, nei confronti di nuovi materiali innovativi a basso impatto ambientale?
Il ruolo della moda e la sensibilità verso la sostenibilità sono cambiati tantissimo da quando abbiamo iniziato nel 2012 come idea e nel 2014 come azienda. Quando siamo partiti, l'attenzione era soprattutto sulle materie prime: riciclare, recuperare, magari come nel nostro caso da scarti alimentari. Otto anni dopo, l'attenzione si è spostata anche sulla fase d'uso: per esempio, come laviamo quello che utilizziamo, quanto lo utilizziamo, quindi l'estensione del ciclo di vita del prodotto, e anche il fine vita, quindi i capi sono riciclati, ma poi sono a loro volta riciclabili o non lo sono? C'è stato un cambiamento con focus su tutta la filiera e c'è stato anche uno spostamento dell’attenzione ai temi dell'impatto sociale, quindi i diritti dei lavoratori, l'impatto della logistica… Oggi ci troviamo in un mondo sulla sostenibilità molto più maturo e, finalmente, misurabile.
Cosa significa per voi essere sostenibili?
Per noi essere sostenibili significa tenere in considerazione tutti gli aspetti, sapendo che siamo parte di un processo che non si arresterà mai: qualunque cosa noi facciamo ha un impatto. Significa fare una prima parte di riduzione degli impatti negativi e lavorare affinché gli impatti positivi, a un certo punto, siano superiori. Questo è vero per tutti gli aspetti della produzione e anche della comunicazione dei prodotti, nel nostro caso.
Quale sarà il futuro della moda sostenibile?
Secondo me il futuro della moda sostenibile lo stiamo vedendo succedere. Passa dal cambio dei modelli di business: dall'acquisto del prodotto al noleggio o l'upcycling, ma anche il second hand, quindi rivendere i propri prodotti per estenderne il ciclo di vita. Passerà anche dal riconoscere che la cosa più sostenibile che possiamo fare è usare quello che già abbiamo: il primo livello di ripensamento parte da questo e prosegue con la consapevolezza che ognuno di noi è un attore, quindi anche un investitore rispetto ai materiali sostenibili e alle aziende che fanno delle scelte etiche o meno. Cambio di modelli business, ma anche di incontro, grazie al digitale, di domanda dei clienti e qualità e quantità dell’offerta, con una riduzione degli sprechi di produzione.